Una storia vera, purtroppo.

Inviato da luca il Mer, 15/02/2012 - 19:40

La bottiglia di acido muriatico è di fronte a me, immobile, eretta e protesa verso l'alto come fosse un piccolo grattacielo. Mi guarda, io fisso lei, lei fissa me. La bottiglia verde e tutti quei segnali di pericolo stampati sulla sua etichetta puntano dritto verso di me, verso i miei occhi e sembra proprio che mi stiano sfidando, una cosa del tipo 'non hai il coraggio di bermi, sai che soffrirai atroci dolori e che non lo farai mai'. Tutti e due sappiamo quello che succederà tra poco e in noi scorre la stessa consapevolezza che c'è tra un condannato a morte e il suo aguzzino, il suo boia, pronto ad iniettare nelle sue vene una dose massiccia e letale di pentothal misto a quell'altra merda che lo paralizzerà prima ed ucciderà poi nel giro di pochi minuti.
Io e la bottiglia sappiamo che con noi sarà tutta un'altra storia e che l'unica cosa che accomuna me ed il condannato a morte è soltanto il risultato finale. Qui in questa stanza grigia e spoglia ci siamo solo io e la bottiglia, nessun boia, nessun aguzzino, nessun medico o secondino pronti ad uccidermi, no! Qui dentro non c'è questa distinzione di ruoli e l'unico attore protagonista di questa storia sono soltanto io, con la decisione già presa, con la testa che scoppia, col pensiero che va ai miei figli, a mia madre e a tutto ciò che ho vissuto in questi anni. Il condannato a morte sa che non soffrirà, che non sentirà dolore se non il leggero fastidio della puntura dell'ago che entra nel suo avambraccio e che però, rispetto alle mie sofferenze, alle mie urla strazianti, al mio esofago in fiamme e al mio stomaco che si contorce è praticamente uguale a zero, niente di niente. L'aguzzino in questo caso sono io, pronta a bere da quella bottiglia verde il liquido che non mi darà scampo, che mi lascerà senza via d'uscita e che sta, compiacente e sorridente quasi fosse viva, sul tavolo di fronte a me a fissarmi.
'Sono pronta!!!
Ripeto nella mia testa queste due stupide parole da almeno un'ora ma sono paralizzata. Il tempo sembra si sia fermato e tutto in questa stanza pare rimanere immobile nell'attesa del mio gesto. Qualcuno penserà che sono impazzita, qualcun altro invece lo dirà con convinzione per delegittimarmi ancora di più, per far credere a tutti che sono soltanto una matta che ha raccontato ciò che invece doveva rimanere segreto.
'Ecco la pentita, l'infame, ha disonorato la famiglia e ora deve pagare per questo!'.
Queste le parole che ho sentito ripetere in paese da tutti. Mi hanno ricoperta di infamia, sporcata con parole che hanno fatto e continuano a far male, pesanti come macigni, più dure delle minacce, delle botte prese e delle costole rotte. E' vero, ho parlato, ho raccontato al giudice tutto quello che sapevo, ho scalfito quel muro di gomma che da sempre impedisce alla verità di uscire fuori dalle spesse mura che separano il malaffare, quello vissuto anche nella mia famiglia, dalla legalità. Ho provato a far cadere tutto per disperazione, per cercare di togliere i miei figli da questo sistema che ti fagocita e ti fa finire quasi sicuramente o in una cella buia e sporca o con due pallottole in testa. Ho provato a scardinare da dentro quel sistema che mi ha impedito di vivere, che a tredici anni mi ha costretto a sposare un uomo che non era degno di essere chiamato tale e che non amavo. Ho taciuto di fronte a tutto lo sporco che mi passava davanti e che ha contaminato la mia coscienza e le mie mura domestiche. Ho dovuto tacere per troppo tempo e la sofferenza e il dolore sono stati i miei unici compagna di viaggio, almeno fino a quando non sono nati i miei tre figli, l'unica ragione che mi ha permesso di bucare la spessa e fitta coltre di omertà e complicità col male.
I miei figli, già. Dopo le mie testimonianze me li hanno tolti. Li avevo affidati a mia madre, l'unica donna che avrebbe potuto capirmi, che avrebbe potuto aiutarmi nel difficile compito del collaboratore di giustizia, l'unica in grado di sopportare insieme a me il dolore, l'infamia e il peso di una famiglia non troppo onorevole e, invece, anche questa volta mi sbagliavo. Mi hanno costretta a ritrattare tutto facendomi scrivere sotto dettatura una lunga lettera pubblica, ma questo non li ha soddisfatti. Come se non bastasse, mi hanno fatto registrare un nastro audio nel quale confermavo che le cose dette ai magistrati della Dda di Reggio Calabria erano false e le voci sulla mia pazzia sono diventate sempre più acute. Fango e pallottole, botte e minacce: questo è il loro modo di trattare chiunque cerchi di ostacolare il loro gioco criminale ed io sono la nuova vittima designata di questo sporco sistema. Subdoli, coi loro mezzucci da criminali da strapazzo. Ho tollerato le bugie, ho sopportato le botte, ho retto il peso dell'infamia buttatomi sulle spalle da questi finti uomini d'onore. Pensavo di riuscire a resistere a tutto, di essere pronta a fronteggiarli anche senza l'aiuto di nessuno ma hanno vinto loro purtroppo, toccando e sporcando l'unica cosa che non avrebbero mai dovuto neanche sfiorare: i miei figli.
Hanno vinto anche questa volta e a me non resta che giocarmi l'ultima carta del mio mazzo.
La bottiglia di acido muriatico è ancora lì, ferma e immobile. Ancora una volta i nostri sguardi si incrociano e la paura di morire, ora, sembra essere improvvisamente svanita.
'Ora sono davvero pronta'.
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Quella che avete appena letto è una mia personalissima ricostruzione della storia di Maria Concetta Cacciola, una donna calabrese che ha scelto il suicidio come unica strada per sottrarsi al giogo criminale che da tempo la soffocava. Di storie come quella di Maria Concetta ne esistono tante e purtroppo sono ancora troppo poco conosciute. Lo scopo di questo post è quello di portare alla luce fatti terribili che insanguinano la Calabria, terra martoriata, depredata e saccheggiata da clan mafiosi che, sostituendosi alle Istituzioni e allo Stato, continuano a mantenere il pieno ed incontrastato controllo su tutto il territorio.
Articoli apparsi su repubblica.it
http://www.repubblica.it/cronaca/2012/02/09/news/arresti_famiglia_pentit...
http://www.repubblica.it/cronaca/2012/02/09/news/la_lettera_della_pentit...

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