UCCIDERE: ATTO IMPUNITO

Inviato da Radiophonica il Mar, 21/04/2015 - 12:15
UCCIDERE: ATTO IMPUNITO

Due appuntamenti con Joshua Oppenheimer, due straordinari e surreali documentari sulla situazione indonesiana a partire dal 1965/66, dove, a seguito della presa di potere del Generale Suharto si realizzò uno dei più grandi massacri della storia; furono uccise oltre un milione di persone, tra comunisti, minoranze etniche e oppositori politici.

Il primo film, girato nel 2012, “The act of killing” ruota attorno alle figure di Anwar Congo e Adi Zulkadry, diretti responsabili dell'uccisione di centinaia di uomini ed oggi rispettabili membri di organizzazioni paramilitari indonesiane (Gioventù Pancasila). I due, specialmente Congo vengo messi alla prova dal regista, tramite domande di ogni genere, domande che non solo non provocano nessun tipo di reazione emotiva e di pentimento, ma anzi suscitano un senso di orgoglio per quello che hanno fatto, orgoglio, e quasi una sorta di malinconia per i tempi passati; una malinconia espressa da spiegazioni e simulazioni dettagliate delle procedure d'esecuzione.

Il documentario prosegue con scene di ballo e di canto di questi carnefici che ora, per sublimare la loro opera hanno deciso di girare un film in merito; un film che ripercorra le fasi del genocidio. Per la realizzazione di questo film, infatti, non si preoccupano di coinvolgere la popolazione, visibilmente ancora impaurita sia dagli avvenimenti passati sia dai loro esecutori. Molti, infatti, spesso si rifiutano di interpretare i comunisti perseguitati e, quando lo fanno, a fine riprese non riescono a smettere di piangere. Per girare molte scene, i Gangster - così Congo e Zulkardy amano definirsi in pieno richiamo Statunitense - non esitano a incendiare villaggi di contadini e nulla tenenti; tutto, per poter realizzare al meglio la rievocazione di quelle stragi!

Il film termina con Congo che riguardano le riprese del grottesco e raccapricciante film, si rivede nei panni nel comunista interrogato e torturato, chiama per la visione addirittura i suoi nipoti, e spiega loro che è finzione, che quello è un film. Poco dopo un forte malessere e conati di vomito lo prendono e lo sopraffanno completamente, sta male, cerca di vomitare i fantasmi del passato, ma non ha nulla dentro, solo la morte di centinaia di vittime.

Diverso è invece “The look of silence”, girato nel 2014, ha come protagonista Adi; fratello di una delle vittime del genocidio del 1965, Ramli. Adi non ha mai conosciuto suo fratello, mutilato e ucciso barbaramente da alcuni membri dle Komando Aksi nell’eccidio del Snake River.

Adi, in questo documentario è ripreso a confronto con i carnefici di suo fratello - un fratello mai conosciuto, un fratello brutalizzato per le proprie idee - parla con loro, si fa spiegare come mettevano in atto le loro esecuzioni, come hanno ucciso suo fratello. Spesso rivela la sua identità e in questi personaggi e nei loro occhi traspare vergogna, negazione, o più spesso ira. Commoventi i dialoghi in particolar modo con la madre, donna forte e piena di vita, la quale, nonostante lo stupore e l'incredulità, resta ferma e salda d'animo anche quando il figlio le svela la complicità dello zio con i carnefici nei fatti del '65. Lo Zio di Adi, infatti, faceva la guardia ad una delle prigioni in cui venivano tenuti in ostaggio i comunisti e i sovversivi in attesa delle esecuzioni. Queste avvenivano sulle rive dello Snake River, lì è stato ucciso anche Ramli; pugnalato più volte e gettato nel fiume. Però Ramli, in quell'occasione, riuscì a scappare e a tornare a casa e solo all'indomani quelli del Komando Aksi si presentarono alla porta dicendo di voler portare il giovane in ospedale, furono inutili le rimostranze della madre, Ramli fu preso e portato nuovamente allo Snake River e lì, già ferito dalle precedenti torture, mutilato dei genitali, morì.

Il film si conclude con una ripresa fatta dallo stesso Adi, la quale ritrae il padre ultracentenario ed afflitto da senilità. Il vecchio non sa dove si trova, non ricorda chi è, non ricorda il figlio morto, ma ha paura di essere trovato, di essere torturato, nonostante tutto non può dimenticare la paura; quella non la dimenticherà mai.

 

 

 

Marielena Arigliani

 

 

 

 

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