Federico Dragogna va in scena al Sanfra di Perugia con "Quello che ho capito di De André" tra musica, parole, rigore filologico e passione

Inviato da Radiophonica il Mar, 19/03/2024 - 15:29

 

Federico Dragogna, penna e chitarra dei Ministri e penna, chitarra e voce di sé stesso, in mezzo alla sua attività di concerti e scrittura, si è ritagliato il tempo per la costruzione di uno spettacolo che vuole, come asserisce lo stesso artista: «non essere un concerto anche se della musica c'è, non essere un reading anche se ho dei fogli davanti: di sicuro c'è la mia voce, la sua e quella del tempo in cui siamo tutti immersi». Il titolo "Quello che ho capito di De André" e la tappa umbra del suo tour martedì 19 marzo alle 21 all'auditorium San Francesco al Prato di Perugia in cartellone per Sanfra, stagione promossa da Mea Concerti in collaborazione con il Comune di Perugia.

In scena uno spettacolo dove più arti si mescolano senza mai nessuna dominare sulle altre. Assolutamente non una lezione o un memoriale parlato, semplicemente delle parole su quello che l'artista ha capito dell'altro artista. Oggi forse lo definiremmo un podcast, con tanto lavoro di ricerca e di materiali storici, che diventa ora un concerto ora una confessione, mescolando rigore filologico e passione, come nelle biografie di Carrère.

Parla solo una persona ma è come se parlassero in cento perché alla fine le domande che usciranno, cercando di comprendere l'arte di De André, potrebbero essere quelle che ognuno dei cento si è posto a casa propria, nella propria automobile o nel proprio posto di lavoro. Ovunque. Le luci durante lo spettacolo non saranno mai pesanti.

«Quello che ho capito di De André - spiega Dragogna - non è un tributo a De André, né una lezione o una commemorazione: è davvero, semplicemente, quello che ho capito di lui e delle sue canzoni. È qualcosa che ho immaginato e scritto quando mi sono accorto che, forse, di Fabrizio De André - twittato da politici d'ogni sorta e bandiera, incensato nei salotti, nei musei e persino nelle scuole - ero io a non averci capito qualcosa. Da ragazzo avevo scelto le sue parole perché mi sembravano le più coraggiose e le più pericolose, ora che le ritrovo ovunque mi sono chiesto se è il nostro Paese che ha finalmente trovato il coraggio o se sono ancora bombe a cui qualcuno ha fatto un giardino intorno - così che da fuori, anno dopo anno, si finisca per vedere solo il giardino. Non è un concerto anche se della musica c'è, non è un reading anche se ho dei fogli davanti: di sicuro c'è la mia voce, la sua e quella del tempo in cui siamo tutti immersi. Ed è qualcosa che ho deciso di fare in posti che erano interessati a questo discorso e che mi hanno chiamato, in posti in cui anche lui, credo, sarebbe venuto volentieri».

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