Enrico Vanzina: “La commedia all'italiana come tradizione di famiglia per me e Carlo”

Inviato da Radiophonica il Lun, 16/09/2019 - 07:43

di Alessandro Ticozzi

 

In occasione dell’uscita del volume Mio fratello Carlo, il celebre sceneggiatore romano rievoca le tappe salienti della loro prestigiosa carriera insieme, continuando a guardare positivamente al futuro nonostante la dolorosa dipartita che lo colpì l’anno scorso.

 

Lei e Carlo vi siete affermati firmando alcuni dei più clamorosi successi del cinema italiano degli anni Ottanta e Novanta: con quali mezzi siete riusciti a traghettare la commedia all'italiana verso i territori più commerciali del giovanilismo e dell'umorismo di derivazione televisiva?

Non siamo partititi da una derivazione televisiva: abbiamo soltanto spostato l’osservazione degli italiani rispetto a quanto facevano all’interno dello stesso genere i nostri predecessori, i quali però si avvalevano dei cosiddetti “mattatori” Sordi, Tognazzi, Gassman e Manfredi. I grandi interpreti della nostra generazione – Nuti, Troisi, Benigni, Verdone e Nichetti – hanno tutti scelto di autodirigersi, per cui noi ci siamo ritrovati a dover raccontare gli italiani attraverso altri attori che probabilmente non erano della stessa statura: pertanto abbiamo deciso di ritrarre aspetti giovanili organizzando un lavoro di gruppo nel promuovere interpreti che forse non avevano la forza di essere protagonisti assoluti, ma che riuniti insieme davano un idea di maggior vigore. Come in passato talvolta il cinema italiano aveva pescato nel teatro comico o d’avanspettacolo, noi abbiamo promosso sullo schermo degli attori che erano stati in parte anche lanciati attraverso alcuni contenitori televisivi.

Dopo un apprendistato sia con vostro padre Steno che con altri importanti cineasti suoi colleghi, cosa vi ha invogliati a formare insieme un'affiatatissima coppia di cineasti di grande versatilità ed efficienza produttiva, realizzando – dopo il vostro debutto dietro la macchina da presa nel 1976 con Luna di miele in tre – in 40 anni più di 60 film?

Non c’è stata una scelta particolare da parte nostra: essendo nati in una famiglia di cinema, nel momento in cui io e Carlo abbiamo deciso di farlo a nostra volta si è proseguito in maniera lineare sulla stessa falsariga. Inoltre il fatto di lavorare insieme mi ha permesso egualmente di collaborare come sceneggiatore con quasi tutti gli altri registi italiani: siccome comunque sia – sugli oltre cento titoli che ho scritto – una sessantina li ho fatti con Carlo, questa è rimasta la parte principale della mia carriera. È stata comunque anche una mia scelta, nel senso che con Carlo avevo un rapporto molto particolare: i nostri ruoli erano infatti un po’ labili, dal momento che – pur essendo stato chiaramente io più sceneggiatore e produttore, mentre lui più regista – Carlo scriveva i film insieme a me ed io lo seguivo sul set, ma – soprattutto in fase di montaggio – svolgevo anch’io un lavoro di regia.

 

Una volta conseguiti i primi successi – giunti con la scoperta di Diego Abatantuono, protagonista nel 1982 sia di Eccezzziunale... veramente che di Viuulentemente... mia – , cosa vi ha spinti a lanciare uno spensierato sottogenere vacanziero-nostalgico con Sapore di mare (1983)?

Io non credo che Sapore di mare sia un sottogenere bensì un prototipo assoluto, nonché un film importante della cinematografia italiana: addirittura la primavera scorsa ne è stata restaurata una copia. È una pellicola che ha fatto epoca nell’inaugurare un nuovo modo di fare la commedia all’italiana: ripartendo dai film di Risi che c’avevano ispirato quali Il sorpasso e soprattutto L’ombrellone, in quel caso noi abbiamo cercato di riappropriarci della tradizione di un certo cinema italiano estivo. Un opera molto autentica che ha aperto una strada completamente nuova: quando circa una ventina di anni dopo ci fu un referendum fatto tra i lettori di TV Sorrisi e Canzoni, curiosamente il film più amato dagli italiani era proprio Sapore di mare. Per questo lo metto a pieno titolo nella tradizione della commedia all’italiana più autentica, nonché tra i nostri film migliori.

 

Sempre in tema di rispolveri di modelli, avete poi rivitalizzato abilmente il film a episodi con comici di provenienza televisiva con Vacanze di Natale (1983) e Yuppies (1986): è stata forse questa secondo Lei la formula che ha maggiormente garantito la vostra fortuna cinematografica anche in seguito con Sognando la California (1992), S.P.Q.R. (1994) e il dittico A spasso nel tempo (1996) e A spasso nel tempo-L’avventura continua (1997)?

Pur avendo lavorato con tutti gli attori possibili e immaginabili sia italiani che internazionali, è chiaro che – come fa ogni regista – tra questi abbiamo cerca di trovare quelli più consoni a raccontare le storie che amiamo: inoltre siamo rimasti anche un po’ intrappolati dal grandissimo successo commerciale della coppia Boldi-De Sica, con cui non è che poi abbiamo realizzato talmente tanti film, dal momento che in seguito la maggior parte li ha girati con Neri Parenti; tuttavia i nostri sono rimasti nell’immaginario al punto che pare li abbiamo fatti tutti noi. Avendola inventata come coppia e funzionando così bene, ha riportato tale tema: ma l’accoppiata è sempre esistita nel cinema italiano popolare, da Totò e Peppino a Tognazzi e Vianello fino a Franco e Ciccio; del resto gli stessi Troisi e Nuti partivano da gruppi cabarettistici quali La Smorfia e I Giancattivi. Per cui noi abbiamo operato una scelta su alcuni attori con i quali ci trovavamo bene per seguire soprattutto il filone comico: poi sulla collaborazione può nascere una simpatia e un amicizia che prosegue nel tempo, ma non è una scelta calcolata. Se Lei pensa quanto Risi sia stato legato a Gassman, Scola a Manfredi o nostro padre a Totò e Sordi, ci sono effettivamente degli incontri che finiscono per durare tutta la vita.

Vi ha forse pesato essere stati meno gratificati quando avete provato a rivisitare altri generi come il noir (Sotto il vestito niente, 1985), l'avventura in costume (La partita, 1988), il poliziesco (Tre colonne in cronaca, 1990) e la commedia meno farsesca (Io no Spik Inglish, 1995)?

Invero Sotto il vestito niente ha ottenuto un tale successo da essere uno dei pochi film italiani venduti in tutto il mondo, così come Io no Spik Inglish ha avuto un enorme riscontro al botteghino: La partita invece andò effettivamente malissimo per tante ragioni; così come fu un insuccesso pure Tre colonne in cronaca, anche se nel corso del tempo è stato rivalutato tanto che l’apertura dell’omaggio a Volonté al Bif&st di cinque anni fa era avvenuta proprio con la proiezione di questo film. Anche se da un punto di vista commerciale non è andato bene, è stata pertanto per noi comunque una grandissima soddisfazione.

 

Nell’ultimo ventennio di carriera insieme, cosa vi ha indotti ad alternare le vostre commedie – sia di consumo che più ambiziose – ad omaggi ai grandi successi del nostro cinema popolare, realizzando inoltre alcune fiction televisive?

Le fiction televisive si fanno perché – quando uno ha una grande società come la nostra, che deve mantenere tante persone – per mantenerla bisogna avere un lavoro anche continuativo che il cinema certamente non può offrire. Tuttavia già alcune che abbiamo prodotto sul finire degli anni Ottanta erano dettate da scelte artistiche: I ragazzi della 3° C di Claudio Risi è stato infatti il primo seriale giovanile italiano, una grandissima intuizione che ebbe un tale successo da risultare addirittura fondante per l’avvio commerciale delle televisioni del gruppo Fininvest; così come la serie Amori, diretta da alcuni dei più grandi registi italiani – da Monicelli alla Wertmüller, da Gigi Magni a Nanni Loy, da Lattuada a Dino Risi – e che vinse tutti i premi di critica quell’anno. Pure tra quelle da noi realizzate Anni ’50 è stata fortemente voluta, mentre Anni ’60 l’abbiamo girata per nostre ragioni anche mercantili: la grande epopea di Un ciclone in famiglia era invece pure un modo per dare una visibilità maggiore a Boldi dopo che si era artisticamente lasciato con De Sica e voleva continuare una propria strada personale. Per quanto invece riguarda il cinema, anche negli anni Duemila abbiamo girato dei film molto interessanti, tra cui secondo me Il pranzo della domenica rimane forse l’ultima grande commedia all’italiana prima che il genere cambiasse pelle: davvero un film classico alla Scola, con attori oltremodo straordinari quali un sommo Papaleo e Ghini forse al meglio delle sue capacità. Abbiamo pure dato dei sequel a nostri film che hanno avuto un enorme successo al botteghino, come nel caso di Febbre da cavallo, la mandrakata – la cui pellicola originaria l’avevo scritta io con nostro padre – ed Eccezzziunale veramente. Capitolo secondo... me: anche Sapore di te è un film che si è difeso molto bene, mentre abbiamo azzardato un po’ troppo girando Il ritorno del Monnezza – che non era di nostra competenza – e un soggetto originariamente televisivo quale Sotto il vestito niente – L’ultima sfilata. Abbiamo comunque effettuato tali rivisitazioni perché – dopo tanti anni di carriera alle spalle – potevamo permetterci di rifare dei titoli entrati nell’immaginario: se poi è stato giusto o sbagliato non lo so dire in quanto non è un giudizio che spetta a me.

Quasi sulla medesima falsariga del volume Una famiglia italiana uscito un decennio or sono, cosa L'ha convinta a pubblicare Mio fratello Carlo ad un anno dalla sua scomparsa?

 

Questo libro è la cosa più bella che ho fatto, pur avendola eseguita contro la mia volontà quasi spinto da un demone esorcizzatore: parla infatti dell’ultimo anno della mia vita con Carlo, per cui non è un volume sul cinema bensì sulla sua malattia. Non potevo uscirne solamente con la ragione se non mettevo giù quello che io ho sempre pensato di Carlo: nel racconto di quest’anno molto doloroso, ho pertanto cercato di mettere tutto l’amore per mio fratello facendolo diventare un personaggio. Lui che ha inventato tanti personaggi nella sua esistenza, in questo libro diventa così egli stesso personaggio: non potevo aspettare altri dieci anni in quanto anche i ricordi erano freschi, per cui una mattina mi sono sentito indotto proprio da qualcosa che razionalmente non avrei voluto compiere. Infatti io non volevo scriverlo, ma è stato più forte di me: un operazione oserei dire quasi psicanalitica.

A seguito di questa perdita, come ha reimpostato la Sua attività e quali sono i Suoi progetti per l’avvenire?

 

La mia attività è proseguita subito con Natale a 5 stelle, una pellicola che dovevo fare insieme a Carlo e che invece ha diretto Marco Risi per Netflix, piattaforma con la quale adesso sto progettando un'altra opera: mi sembra parecchio stimolante alla mia età essere stato uno dei pochi italiani autori a realizzare dei film per Netflix non seguendo la serialità; una sfida nuova con tanti problemi e difficoltà, ma che mi fa sentire ancora attaccato moltissimo alle nuove frontiere del cinema. Detto questo, tutto continua: io adesso sarò forse obbligato anche a fare il regista – cosa che non ho mai fatto nella mia vita – e vedremo se l’anno prossimo debutto sotto tale veste.

 

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