Come non si diventa giornalisti.

Inviato da fucsia il Gio, 14/04/2011 - 16:53
Come non si diventa giornalisti.

"La paura come il coraggio sono contagiosi, non lasciatevi contagiare dalla prima", così si conclude il monologo di Luca Telese del Fatto Quotidiano al Teatro Pavone di Perugia. Il giornalista cammina avanti e indietro fra la platea mentre sviluppa un discorso onnicomprensivo. Tocca tutti i punti, ma del mondo. Dai massimi sistemi alla religione, dalla politica spicciola alla propria vita. La prende alla larga partendo da Amerigo Vespucci, che definisce il primo giornalista del mondo. Poi, si dedica al Cristianesimo e i Vangeli diventano la prima "finta diretta della storia". Conseguenza logica è la seconda "evangelizzazione" della storia, il Socialismo. D'altronde, il Capitale è secondo solo alla Bibbia in quanto "best seller". E Lenin si definiva un "pubblicista". Malinconia e sogni socialisti prendono il sopravvento con la narrazione di alcuni episodi circa gli anni del Muro, durante i quali è un giornalista italiano a fare la domanda, quella con la D maiuscola, apparentemente stupida, che riconcilia le due Germanie.
Poi, c'è spazio per raccontare di Serpi Canario, anagramma di San Precario. Il popolo viola, in buona sostanza. Serpi era stata spacciata alla settimana della moda di Milano come una stilista giapponese. E ci avevano creduto. Peccato che non esistesse davvero. Ed ecco comparire la seconda frase chiave del monologo: "Il verosimile prevale sul reale".
E' l'Italia di oggi ad essere racchiusa in quest'aforisma, niente di più, niente di meno.
Toccante il passaggio della sua collaborazione con Maria Grazia Cutuli, la giornalista morta nel 2001 in guerra, che, proprio per la sua caparbietà, se n'era infischiata delle logiche, sempre discutibili, delle redazioni e dei loro piani alti.
L'ultima parte del discorso è incentrata, invece, sulle sue esperienze al Messaggero, al Corriere della Sera, al Fatto Quotidiano. Quest'ultimo diventa, nella sostanza, l'unica esperienza redazionale positiva della sua vita. "Al Fatto posso scrivere quello che voglio". Proprio perchè, non importa se un giornalista impiega 12 anni a prendere un cartellino per dare dei soldi a chi li utilizzerà per le pensioni dei Big della Casta precarizzando, intanto, i giovani. Non importa perchè giornalisti non lo si è per un pezzo di carta o plastica (12 anni sono lunghi), mai. L'importante è esserlo dentro. L'essenziale è dare ascolto alle voci dell'Italia che non si arrende. Perciò, "lasciatevi contagiare dal coraggio".

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