Aiutati che Dio ti aiuta. Bastano davvero un paio di Leggi o Ddl per salvare il nostro Paese?

Inviato da Rossella Biagi il Ven, 27/04/2012 - 13:31
Aiutati che Dio ti aiuta. Bastano davvero un paio di Leggi o Ddl per salvare il nostro Paese?

Come si può salvare l'Italia, un paese in cui la condizione di crisi è quasi un dato congenito, un paese in cui la corruzione e lo spreco sono all'ordine del giorno? Bisogna partire da una rivoluzione culturale che ci renda tutti più buoni e virtuosi? Oppure possiamo diventare migliori e virtuosi “per legge”? Se così fosse la nostra classe politica avrebbe davvero un bel legiferare, cosa che per altro ha già ampiamente provveduto a fare.
Ecco infatti che arrivano sul tavolo il Ddl “SalvItalia” e “CrescItalia” (solo per citare gli ultimi). Ma è sufficiente un impianto normativo di riferimento per diventare “onesti” e non usare a scopi privati i soldi di tutti? L'impressione è che spesso molte leggi siano adottate appositamente per poter “rubare” in maniera legalizzata. Di più. Sono queste stesse leggi ad “autorizzare” la riproduzione di un sistema viziato di reciproco mutuo-aiuto tra politici e imprenditori, un aiuto con “soldi veri”, che vengono magicamente fuori dalle tasche dei contribuenti. Il furto legalizzato della casta insomma. Ma sono loro gli unici a rubare?
Di sicuro quella dei contributi pubblici alle grandi imprese battenti bandiera italiana è una storia che affonda le radici molto lontano nella storia italiana e trova la sua ragione d'essere nella tutela dei lavoratori coinvolti nel ciclo di produzione di alcuni settori in crisi. Ma ad oggi la sua “ragion d'essere” è totalmente stata stravolta. Il dato allarmante è che, allo stato attuale, sono più i “contro” dei “pro” al ricorso a questi contributi pubblici, e questo per una serie di motivi diversi, ma collegati, tra loro.
In primis viene prodotta una forte distorsione nel mercato dell'imprenditoria che va a detrimento degli imprenditori virtuosi e promuove invece l'avanzamento di imprenditori mediocri, spesso speculatori, che usano i finanziamenti pubblici non per investire nella riconversione dell'impresa in crisi ma per ripagare i loro debiti con le banche o, peggio ancora, per acquisire altre imprese in crisi. In secondo luogo, mancando una verifica super partes sulla gestione dei contributi pubblici da parte delle imprese, i soldi che gli italiani sborsano per tenere in vita alcune aziende italiane vengono spesso impiegati all'estero e comunque non per la formazione del personale e l'innovazione dei macchinari o processi di lavorazione. In terzo luogo, ormai il finanziamento pubblico al sistema dell'imprenditoria è diventato una faccenda sistemica, che falsa ogni regola del mercato concorrenziale: si è perso il carattere eccezionale dell'intervento pubblico a tutela di un'impresa in crisi e si è trasformato in una sorta di continua “questua” ai politici-amministratori di turno da parte di imprenditori incapaci. Oltretutto questo tipo di contributi sono diventati quasi sempre finanziamenti “a fondo perduto”, nel senso che i soldi che noi italiani sborsiamo difficilmente li rivedremo. E qua si innesta il meccanismo perverso del legame clientelare tra politici e imprenditori.
Non fraintendiamo. L'istituto dei finanziamenti a fondo perduto dello Stato per chi rileva un'impresa in crisi o apre una nuova impresa in zone con forte livello di disoccupazione è sacrosanto e risponde all'idea di riattivare il tessuto economico in una determinata area proteggendo realtà lavorative e imprenditoriali già inserite nel ciclo produttivo (operando come un amortizzatore sociale). Di più: questo istituto è concepito come strumento per la realizzazione di una politica industriale
di sviluppo e promozione della competitività di settori in crisi; settori ritenuti strategici dal legislatore sia per
le ricadute tecnologiche che possono generare, a vantaggio anche di altri settori
industriali; sia per il sostanzioso contributo all'economia e al sostegno all'occupazione delle aree in cui operano.
Ma occorrono serie verifiche sulla destinazione e l'impiego di questi contributi per evitare sprechi e usi impropri.
Verifiche che al momento, se ci sono state, non sono risultate molto efficaci.
Si potrebbe pensare che una legge sia sufficiente per regolare la questione ed evitare distorsioni. Ma così non è, perchè è proprio in seguito a leggi come la N.488/1992 (Concessioni di agevolazioni a favore delle imprese che intendono promuovere dei programmi di investimento) e la L.808/1985 (Interventi agevolativi per il settore aeronautico), si sono verificati i maggiori “sprechi” da parte di industriali-speculatori in crisi.
Quello che si è realizzato in Italia è un intricatissimo labirinto di provvedimenti, agevolazioni, incentivi che promuove e lagalizza una politica economica “parallela a quella reale” e fortemente distorsiva. Misure parziali e particolari, che creano un legame pericolosissimo tra politica-amministrazione-imprenditoria.
Il risultato? Un sistema economico e politico inefficiente che lega il sistema pubblico a quello privato. Chi ne fa maggiormente le spese? La parte debole (ad esempio i lavoratori di Pomigliano, Termini o le Regioni colpite da terremoti e devastazioni naturali, oltre al Mezzogiorno, diventato terra di investimenti per speculatori e mafiosi). Ma chi sono i responsabili della creazione di questo sistema distorto e malato? Quattro sono le figure coinvolte, seppure con responsabilità diverse: gli imprenditori; i partiti politici; il legislatore, chi concretamente fa le leggi; ed anche in certa misura i sindacati, con il loro fare pressione per la concessione di contributi alle imprese in crisi.
Che fare dunque? Sarà il caso di chiedere ai legislatori l'adozione di un nuovo Ddl, che provocatoriamente Marco Capobianchi, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella hanno rinominato “SprechItalia”? La soluzione non è semplice, ma in questo senso può sicuramente essere utile l'imposizione di controlli più seri sulla destinazione e l'uso dei soldi pubblici. Si tratta di un percorso lungo, che passa anche attraverso la riforma del sistema di finanziamento ai partiti pubblici, un sistema che deve essere più trasparente, in modo da evidenziare le connivenze tra “politici” e “imprenditori”.
Riusciranno i nostri legislatori a porre un freno alle “Mani Bucate” di politici e imprenditori?
Non ci è dato saperlo ora come ora, possiamo solo augurarci che sia così. Nel frattempo vediamo cosa riescono a combinare per limitare gli sprechi de “La Casta”....
P.S. Non l'ho ancora letto, ma credo che “Mani Bucate” di Capobianchi sia un buon libro. Mi è venuta voglia di leggerlo appena uscita dall'incontro al Teatro Pavone su SalvItalia, CrescItalia e SprechItalia con degli altrettanto pungenti Rizzo e Stella. Vi saprò ridire se sono rimasta della stessa idea dopo averlo letto.

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