Medea è lucana ed è nera petrolio: il teatro che si ribella. #PdT14

Inviato da Sabrina Fasanella il Gio, 29/05/2014 - 03:27
Categoria recensione: 
Recensione Spettacolo Teatrale
Il Collettivo Interno Enki in M.E.D.E.A. Big Oil

Cos’è il teatro? Un luogo di cultura, di arte,  una macchina di sogno e di finzione, di illusione e proiezioni? Anche. Ma prima di tutto il teatro è un luogo d’incontro. Spazio fisico prima che ideale, in cui ci si riunisce accomunati, anche se per poco, da un’attenzione orientata nella stessa direzione. Certo, non ci sono leggi che impongano ai passeggeri della nave-platea di relazionarsi, rielaborare idee, confondere pensieri ed opinioni. Ma l’energia che discende dal palcoscenico può compiere l’incanto di scuotere all’unisono le anime, magari in modo diverso per ognuna, magari solo per un istante. Se questa emozione, poi, non è legata a puri artifici stilistici, ma alla realtà più scottante e più amara, narrata sulle corde dell’imprevedibilità, da emozione si tramuta in solco scalfito nelle coscienze, impossibile da cancellare. Il teatro allora non è più passatempo, non è diversivo: è vita.Questo teatro ha propagato le sue onde positive nello spettacolo che ha aperto la rassegna Primavera dei Teatri, prendendo corpo e voce dagli affiatatissimi attori del collettivo Interno Enki, diretti da Terry Paternoster, a sua volta autrice e fulcro del gruppo sul palco.Un vortice di suggestioni sonore e visive trascinano lo spettatore in un universo tangibile, quello di una terra vittima della sua fortuna, la Basilicata. Eppure la narrazione è sospesa sul filo del mito: scene di quotidianità genuina e chiassosa fanno da sfondo alla tragedia che consuma anime e corpi di un popolo ferito dall’illusione del Big Oil. Illusione che ha reso la regione più ricca di petrolio tra le più povere d’Italia, trivellando ed avvelenando una terra inerme che non riesce a ribellarsi.Medea è il nome di una madre, ma è anche l’acronimo che nasconde l’inganno: master in Management dell’Economia dell’Energia e dell’Ambiente. Un canto fatto litania scandisce il susseguirsi di quadri, tratteggio di una cultura arcaica e inamovibile, che uccide più del petrolio in cui affonda le radici; fatta di superstizione e ingenuità, ma soprattutto di un fatalismo che pone la fedeltà alla terra madre al di sopra di qualsiasi condizione. La Medea di questa terra è la sua cultura;  è questo vociare di valori e convinzioni a condannare i suoi figli, a zittirne le opinioni scomode, ad assoggettarli al sindaco o all’ingegnere dell’Eni di turno, con un senso di predestinazione che più di tutto imparenta questa realtà attuale alla mitologia classica.L’incontro tra mito e contemporaneità fa scoccare la scintilla della presa di coscienza. Ma la bellezza di  questo spettacolo non risiede nell’innesco del processo catartico: le forme stesse della narrazione ci parlano di speranza, dimostrando come le voci ed i gesti dei singoli possano sincronizzarsi, completarsi, fondersi a comporre l’armonia del cambiamento. Nato da una vera e propria inchiesta condotta sul campo, M.E.D.E.A. Big Oil (vincitore del Premio Scenario per Ustica 2013) ha l’ambizione di non restare sul palcoscenico, ma di utilizzarlo per propagare la consapevolezza del poter fare, rendendo il  teatro uno strumento di controinformazione che racconti “fatti, non notizie” e che scrolli via l’indifferenza.

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