Piera Degli Esposti: “Affermatami sulle scene, grazie allo schermo ho vissuto una seconda giovinezza”

Inviato da Radiophonica il Dom, 08/03/2020 - 09:49

a cura di Alessandro Ticozzi

 

 

La celebre attrice bolognese ricorda le tappe salienti della propria fortunata carriera, dai successi teatrali alla riscoperta sugli schermi cinetelevisivi: sempre nel segno di una intensa presenza recitativa.

 

Dopo essersi formata in gruppi sperimentali, Lei si è imposta tra il 1969 e il 1976 al Teatro Stabile dell'Aquila, lavorando con registi come Calenda (Operetta di Gombrowicz, 1969), Trionfo (Arden di Feversham di anonimo elisabettiano, 1971) e Cobelli (La pazza di Chaillot di Giraudoux, 1972; La figlia di Iorio di D'Annunzio, 1973; Antonio e Cleopatra di Shakespeare, 1974): come ricorda questo periodo così fertile della Sua carriera teatrale?

È stato uno dei momenti più felici per me: ho iniziato con Gigi Proietti sotto la direzione di Calenda al suo Teatrino dei Centouno – che già fu il primo passo verso questa grande impresa dell’Aquila in qualità di primattrice, dove venni diretta appunto anche da Trionfo e Cobelli. Sono stata molto lieta con direttori dello Stabile dell’Aquila assai illuminati quali Fabiani, Giampaola e Centofanti: era un piccolo teatro dell’Italia centrale i cui spettacoli andavano in tutti i grandi stabili, da Roma a Milano e Torino; per cui ho avuto la possibilità di ottenere il massimo risalto, ricevendo delle ottime recensioni.

 

Quanto crede di essere riuscita ad esprimere al meglio le Sue doti d'attrice nel monologo Molly cara (1979) da Joyce e in Rosmersholm di Ibsen (1980), diretto da Castri?

Interpretando Molly Bloom – dal bellissimo monologo di Joyce – penso di aver dato la prima prova di una capacità nel portare in scena sé stessi, senza nascondersi dietro al personaggio: la regia era di Ida Bassignano, che assecondò al meglio un linguaggio molto libero e scandaloso sotto ogni aspetto. Personalmente ritengo che quello sia stato il ruolo che più mi ha imposto definitivamente come attrice teatrale “rivoluzionaria”: tale possibilità è poi venuta in altro modo anche con la bellissima Rebecca fatta con Tino Schirinzi in Rosmersholm, sotto la regia di Massimo Castri.

 

Cosa L’ha spinta a dedicarsi anche al cinema come sceneggiatrice (Storia di Piera, 1983 e Il futuro è donna, 1984 entrambi di Marco Ferreri) e come interprete, pur senza mai abbandonare il teatro?

Invero io avevo cominciato diretta sul grande schermo da Zampa, Pasolini e dai fratelli Taviani: quindi avevo già avuto la possibilità di vedere che il cinema – pur avendolo tradito – mi accoglieva istintivamente, mentre il teatro no. Una volta lasciato un potente segno sulle scene, ho pertanto sentito la necessità di tornare maggiormente allo schermo – grande o piccolo che sia – per ricambiarlo delle immediate attenzioni che aveva tenuto nei miei confronti. Tuttavia quello di sceneggiatrice non lo ritengo proprio un lavoro adatto a me: mi sono semplicemente limitata a fornire delle immagini a Dacia Maraini per i libri Storia di Piera e Piera e gli assassini. Questo vale anche per le sceneggiature dei sopraccitati film di Ferreri: io raccontavo e loro due scrivevano.

 

Cos’ha provato quando nel 2003 Lei è stata premiata con il David di Donatello per la miglior attrice non protagonista grazie alla Sua interpretazione nel film L'ora di religione (2002) di Marco Bellocchio?

Ho provato una grande emozione, giacché quello della zia di L’ora di religione era un personaggio abbastanza antipatico che non ispirava certo simpatia: però ha attirato tanti consensi, provando che lo spazio a me più congeniale nel cinema è fatto di caratteri intensi e rancorosi.

 

Cosa L’ha invogliata invece ad interpretare nel 2004 Il vestito da sposa di Fiorella Infascelli?

Il fatto di poter tenere a battesimo Maya Sansa incarnandone la madre, com’era già successo un ventennio prima con Valeria Golino: ormai da tempo mi sembra infatti di proseguire sostenendo in tale veste queste giovani attrici che hanno poi ottenuto grandi risultati, da Alba Rohrwacher a Sara Serraiocco.

 

Nel 2006 Lei è tornata sulle scene con il recital Un'indimenticabile serata e ha recitato nel film La sconosciuta di Giuseppe Tornatore: ciascuno dei due mezzi espressivi – il teatro e il cinema, appunto – cosa pensa possa mettere in risalto delle Sue qualità recitative?

Il teatro fornisce un insieme più completo anche fisicamente, nel senso che risalta come muovo il corpo e porto le braccia: la recitazione scenica è estremizzata, cosa che in cinema non è assolutamente possibile. Sullo schermo ho infatti portato la dimensione celata del mio essere, interpretando personaggi di forte potenza interiore: per cui credo che tale modo di recitare – affidato molto agli occhi e al sorriso – mi riesca particolarmente anche perché in cinema bisogna arrivare con questi elementi, mentre ciò in teatro si vede da lontano. Lo sguardo testimonia molto al cinema la mia vita interiore, mentre in teatro questa traspare dal mio corpo.

 

Ormai ottuagenaria, che bilancio trae della Sua vita personale e professionale?

Ho vinto ancora molti premi grazie a quello schermo che ho amato molto, scalandolo rispetto al palcoscenico: dunque il bilancio è senz’altro positivo perché – in questa mia parte di vita – faccio soprattutto cinema e televisione, cosa un po’ inaspettata per un attrice di teatro. Si capisce che uno vorrebbe avere sempre di più, ma bisogna comunque possedere il senso della misura: io ritengo di avere delineato la mia figura principalmente sotto il profilo scenico, mentre – come interprete cinematografica – penso di aver ottenuto un buon esito. Pur se non “rivoluzionario” come quello teatrale, è quindi un risultato che continua ad essere soddisfacente.

 

Ha qualche progetto per il futuro?

Dopo un intervista-spettacolo con Pino Strabioli che mi ha vista protagonista assoluta quale WikiPiera, continuo a ricevere svariate richieste per partecipare a film e fiction: molte di queste credo le accetterò…

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