Il poeta e la sua musa: la sacralità della bellezza femminile secondo Eckhart Schmidt E Marilina Marino

Inviato da Radiophonica il Sab, 05/10/2019 - 22:08

di Alessandro Ticozzi

 

 

Tra una proiezione e l’altra, ad un tavolino del bar posto all’interno del Teatro Miela Bonawentura di Trieste mi ritrovo seduto in compagnia del regista Eckhart Schmidt e della moglie produttrice Gorana Dragaš, che lui chiama affettuosamente “Goghi”: insieme a loro, le attrici Marilina Marino e Dalila Forcina, tra le protagoniste (insieme ad altre menzionate nel corso dell’intervista a seguire: Carla Baiamonte, Federica D’Amore, Eletta Del Castillo, Claudia Ida, Mikym Maridati, Sara Marrone, Diane Patierno e Cecilia Saracino) del “ciclo romano” di film sperimentali proposti per il secondo anno consecutivo al Festival Internazionale del Cinema e delle Arti “I Mille Occhi”. Mi fa particolarmente piacere rincontrare Marilina, già tra le interpellate per la mia inchiesta Le brave ragazze vanno in Paradiso. Noi vogliamo andare dappertutto (2015) e da tempo “musa” prediletta del cineasta tedesco, oltre che interessante talento emergente da tenere assolutamente d’occhio: con loro due realizzo quest’appassionante conversazione.

 

Cos’ama soprattutto dell’Italia?

ES: <La bellezza: la bellezza delle case, la bellezza della cultura, la bellezza dello stile, la bellezza delle donne, la bellezza dell’amore, la bellezza della musica di Lucio Battisti, Adriano Celentano o Fabrizio De André. Mi piace questo stile di bellezza: pensare sempre che una cosa deve essere bella>.

Com’è nata in Lei l’idea di sviluppare qui il Suo “ciclo romano”, e come ha poi deciso di strutturarne la realizzazione filmica?

ES: <Ho deciso che non posso e non voglio più fare il cinema classico, raccontando una storia con un dialogo formulato da due o tre attori: allora ho cominciato a sperimentare nell’intento di raccontare storie diverse. Non intendo più seguire questo cliché che ha il cinema anche attuale con una ripresa più vicina e una più lontana: cose molto routinarie e noiose. Io ho girato più di trenta film classici: quando nel 2015 abbiamo lasciato Los Angeles, ho pensato che è necessario realizzare pellicole originali e innovative. Ho pertanto provato a raccontare le mie storie in maniera più sperimentale – andando al fondo del cuore e dell’anima – senza una sceneggiatura classica: so che con questo stile non posso certo vendere un mio prodotto alla televisione o a Netflix, in quanto non funziona neanche nelle normali sale cinematografiche perché troppo particolare;  è necessario un pubblico curioso di vedere qualcos’altro>.

In base a quale criterio Lei ha scelto le giovani protagoniste di questi titoli, e come ha successivamente impostato la Sua collaborazione con loro sul set?

ES: <Molto semplice: è tutta la vita che cerco sempre un attrice che possa esprimere i miei sogni e pensieri senza che io debba parlare troppo. Ad esempio Marilina o Cecilia sanno cosa voglio: abbiamo un argomento al momento e poi loro riescono a svolgerlo, essendo capaci di trasmettere quello che ho pensato nel preparare un film. Questo per me è molto importante, perché io non voglio sempre dare spiegazioni ogni momento ad un attrice che seleziono in quanto è lei a dover capire cosa racconta questo film e quanto ciò è significativo: dopodiché ha anche una porzione di libertà nell’esprimere col suo corpo, la sua voce e il suo sguardo le cose che abbiamo stabilito di inscenare>.

Entrambe le attrici tra l’altro sono comparse nella popolare fiction Don Matteo, come conferma la stessa Marilina precisando: <Però in stagioni diverse: poi siamo pure diventate amiche. In realtà io ero presente al casting che ha fatto Eckhart a Cecilia, e gli ho detto: “A me piace molto questa ragazza”. Eckhart era indeciso perché voleva capire fino a che punto lei fosse pronta anche ad osare: poi pian piano si è convinto pure lui, ed ero molto contenta per Cecilia perché la trovo dotata di grandi potenzialità espressive sia fisicamente che in volto>.

Dai corsi alla Beatrice Bracco, alla Paolo Grassi e al Centro Sperimentale di Cinematografia alle numerose apparizioni in radio, videoclip, web serie, cortometraggi, produzioni teatrali (di prosa o performative che siano) e televisive (tra spot, programmi e fiction), quanto sono state – e continuano ad essere – rilevanti tutte queste esperienze per te in senso formativo?

MM: <Adoravo Beatrice Bracco, di cui sono stata una delle ultime allieve in vita: ritengo infatti sia stata una delle insegnanti più preparate per quanto riguarda Stanislavskij e Strasberg, di cui mescolava i metodi. Lei credeva molto nella verità, oltre al fatto che diceva sempre: “Per essere un buon attore, bisogna essere un buon essere umano. Se vuoi fare l’attore, ti devi liberare di tutti gli scheletri del passato, di tutte le tue fobie, di tutti i tuoi problemi, di tutte le tue insicurezze: perché sennò te le porterai in ogni personaggio”. Io ci credo pienamente: quando sei felice con te stesso e con gli altri, perdoni i tuoi genitori perché – facendo quello che hanno potuto – ti hanno chiaramente creato dei traumi, perdoni le persone che ti hanno fatto male e ti liberi di tutti i tuoi problemi, a quel punto puoi davvero essere chiunque. Per me tutto è formativo – anche essere qui a fare quest’intervista con te – e continuo ad essere formata: mi piacerebbe lavorare in una lunga serialità per scontrarmi anche soltanto per una volta con un lavoro giornaliero quotidiano. È una cosa che sinora mi è sempre successa appunto solo per giornate singole: invece penso di averne bisogno per capire come si lavora sul lungo periodo. Per il resto ho solo voglia di imparare sempre di più: questo credo che lo possegga ogni attore>.

Attraverso primi piani o dettagli di volti e corpi, ho l’impressione che Eckhart cerchi di penetrare nell’animo di queste giovani attrici: <Lo spero,> egli si augura <ma il punto è che io ho un animo femminile: questo mi rende molto curioso del mondo. Osservando la gente, posso stare in una piazza tre o quattro ore a guardare le persone – ragazzi o adulti che siano: vorrei infatti capire cosa fanno e quali sono i loro sogni. Io cerco di trasmettere tutto quello che vedo nei miei film: ho scritto anche un libro sulla solitudine e fatto almeno trecento interviste con giovani tra i sedici e i ventiquattro anni. Ho molte informazioni sulla vita di queste generazioni cui sono interessato: per me, quando una persona ha trent’anni, normalmente è più o meno chiusa. Io posso lavorare solo con un attrice che è adatta per un idea differente e curiosa di fare qualcos’altro di artistico che non sia sempre la stessa routine: anche per me è molto importante, perché io faccio a volte delle riprese molto lunghe che possono durare fino a quindici minuti o addirittura mezz’ora. Le attrici cinematografiche non sono più utilizzate in tal senso perché sono ormai abituate a riprese assai brevi che vengono ripetute pure cinque volte: per questo io amo lavorare con attrici teatrali che possono stare sul palcoscenico anche due ore, come Marilina, Dalila o Cecilia. Tuttavia ci possono essere anche modelle “pure” molto intelligenti ed educate, come alcune con cui ho già lavorato in altri film [ad esempio Michela “Mikym” Maridati, apprezzata fotomodella milanese prolificamente attiva in Italia e all’estero che ha tuttavia al suo attivo anche esperienze come attrice e cantante – N.d.A.]. Non si può mai sapere: posso girare anche con una ragazza di servizio che può essere bella, intelligente ed educata; mentre una famosa attrice hollywoodiana può essere stupida>.

Tra queste sicuramente è proprio Marilina ad essere la Sua “musa” prediletta: com’è nata questa sintonia artistica, e quali sono le qualità umane e recitative che di lei valuta particolarmente?

ES: <Lei è siciliana: in questo film che abbiamo appena visto [Piazza d’amore – N.d.A.] ci sono cinque attrici siciliane che sono lei, Claudia, Federica, Eletta e Carla. Io amo molto la Sicilia perché è una regione dove la gente è molto aperta e attenta a tutte le cose: quando noi ci siamo incontrati, parlammo della Sicilia e lei è stata subito d’accordo nel lavorare con me>.

Marilina ricorda così le emozioni provate nell’effettuare tali riprese nella sua natìa Palermo, e – più in generale – l’indissolubile legame con le proprie origini siciliane: <Per me girare a Palermo è stato praticamente come girare nel grembo di mia madre: mi sembra molto difficile staccarmene perché la sento nelle viscere. È una città che continua ad accompagnarmi, ed io continuo ad avere un certo sentimento di nostalgia nei suoi confronti: nonostante io ami Roma con tutta me stessa e credo sia la città in cui mi ritrovo di più – in quanto ho trovato tanta gente più simile a me, un apertura mentale diversa e tante altre cose che mi ci legano – , nello stesso tempo Palermo è comunque una parte di me e lo sarà sempre. Girare a Palermo per me è stato bellissimo in quanto molto naturale: abbiamo girato questa scena sul mare, e – fin da quando sono nata – non c’è nessun posto che io ami più di Mondello. Avere poi un legame con la propria famiglia va benissimo, però prima te ne devi distaccare per poterlo vedere chiaramente: devi riuscire ad uscire dal nucleo familiare per poi rientrarci, ed è quello che sinceramente penso di aver fatto io. Finito il liceo classico, a diciott’anni ho detto: “Basta, voglio andare a fare l’attrice imparando bene”. Quindi mi sono trasferita a Roma per andare nella scuola che sognavo fin da bambina: c’è stato un momento iniziale di conflitto e di rifiuto della mia terra. Mi chiedevo infatti: “Perché qui trovo quello che a Palermo non riesco a trovare?”. Poi invece mi sono resa conto che ci sono cose di Palermo che purtroppo Roma non mi potrà mai dare, e che – se sono quella che sono – è grazie alla mia famiglia>.

Cos’ammiri maggiormente di Eckhart come uomo e come intellettuale a tutto campo?

MM: <Come uomo, la sua capacità di leggere negli occhi delle donne: Eckhart è una di quelle persone che riesce a capirti con un solo sguardo. Anche nei momenti più difficili degli ultimi quattro anni Eckhart mi è stato molto vicino, e non c’era bisogno che parlassi in quanto subito mi diceva: “Prima di parlare di lavoro e di tutto quanto il resto, dimmi come va”. Mi ricordo che un giorno scoppiai a piangere ad una sua domanda perché quel giorno stavo proprio malissimo, e lui non ha avuto bisogno di alcuna spiegazione: sapeva già tutto. Come intellettuale invece io credo che ci dovrebbero essere più intellettuali così, perché lui non cede a compromessi: è una persona che veramente sa quello che vuole e che pensa, ed è stato anche capace di licenziare persone perché riteneva non fossero moralmente adatte ai suoi lavori>.

Attraverso i personaggi che hai affrontato sinora sotto la sua direzione, cos’hai scoperto di te come donna e cosa pensi egli abbia valorizzato di te come attrice?

MM: <Come donna, ho scoperto di essere capace di poter trasmettere diversi stati d’animo con poco: grazie alla sua direzione, capisci anche l’importanza del minimalismo. A volte basta poco per far capire qualcosa: non c’è bisogno di spiegare troppo. Come riportato nel finale di Piazza d’amore, il senso è che non c’è senso: secondo me è assolutamente vero. Come attrice ho scoperto quindi l’importanza del saper dosare, e il fatto che i suoi personaggi comunque rispecchiano solitamente dei sogni femminili che possono essere molto diversi: a volte noi donne ci complessiamo molto facilmente nei confronti del nostro aspetto fisico e dei nostri problemi, ma in realtà ogni uomo o donna che sia ha i propri sogni che sono veramente variegati e variopinti; l’importante è saperli cogliere>.

Eckhart è comunque sia un autore dalle tematiche complesse: ci sono state scene per te difficili da girare con lui?

MM: <Per me è stato difficile soprattutto il primo film, in quanto è anche quello più impegnativo a livello sentimentale: s’intitola Love and Death in the Afternoon e siamo stati a girarlo per un bel po’ rispetto agli altri. È stato un film un po’ più girato e combattuto: la cosa più difficile è stata mettersi a nudo davanti a un regista che ancora non conoscevo in una situazione di intimità totale, perché noi giriamo con una telecamera, lui e nient’altro. È chiaro che in quel momento potresti anche essere intimorita dalla situazione: dopodiché è stato difficile lasciarsi andare, nel senso che lì ci sono anche scene in cui c’è il mio amato che mi comunica di volersi suicidare. È stato un po’ complicato incassare il colpo da attrice senza avere un altro attore davanti, e dover comunicare di fronte alla telecamera qualcosa di così struggente>.

“Non ci si sente violate quando si lavora con Eckhart”, mi raccontava Diane Patierno, attrice franco-casertana il cui volto segnatamente intenso la rende soprattutto adatta ad interpretazioni spiccatamente sofferte, ma che all’occorrenza sa tirare fuori pure una più nascosta – ma non meno efficace – vena ironica. Proprio circa il suo lavoro sulla nudità, io ho la sensazione che lui lo renda una cosa assolutamente naturale, riuscendo così a mettere a proprio completo agio le attrici anche in questo tipo di situazioni: è così?

MM: <Sì: io in realtà non mi sono mai sentita così a mio agio come con Eckhart anche con la nudità. Lui è una persona che continua a guardarti negli occhi girando con te: per molto meno può capitare che anche ad un provino stiano più a guardarti ben altro che non gli occhi. Quello che odio della mia professione è la quantità di registi che sono oggettivamente viscidi: su questo Eckhart è quello che si distingue in positivo più di tutti>.

All’ultimo Fantafestival tu hai declamato a suo nome il manifesto Libertà: cos’è la libertà secondo Eckhart, e quanto ti ritrovi nella sua idea di libertà stessa?

MM: <Nella mia ipotesi del pensiero di Eckhart, la libertà è poterti esprimere totalmente senza avere vincoli e dover pensare al giudizio altrui: io credo che Eckhart si sia molto liberato di questa paura. Lui chiede sempre com’è andata, ma perché è come lo chiedesse a sé stesso: in realtà non gliene frega niente di ciò che diranno le persone delle sue opere. Secondo me questa libertà di giudizio la richiede anche alle sue attrici: in particolare il suo manifesto – che abbiamo anche proiettato ieri – sostiene il fatto che siamo arretrati ad una società piccolo-borghese che purtroppo continua a giudicare la nudità come qualcosa di negativo. Da un certo punto di vista, si è infatti molto più vicini al Medioevo di quanto pensiamo e molto più lontani da un idea di libertà greca, dove tutto è concesso perché è giusto rispettare le opinioni e le libertà degli altri, nonché la loro espressione: da questo punto di vista mi trovo perfettamente d’accordo con lui. Il problema del mio lavoro con Eckhart è che noi non possiamo litigare perché la pensiamo in maniera troppo simile su un sacco di cose>.

Sensuale per Eckhart, ma brillante o drammatica in altre tue interpretazioni: come riesci a passare con tanta scioltezza da un registro recitativo all’altro?

MM: <In realtà io sono partita facendo l’attrice drammatica: a me piace proprio piangere e disperarmi, riuscendo ad immedesimarmi anche nelle cose più mostruose. Mi veniva molto più difficile il comico: da questo punto di vista chi devo oggettivamente ringraziare è il mio compagno Massimo Morlando, in quanto me l’ha insegnato lui. Scrivendo soprattutto commedie, mi ha proprio spiegato come poter parlare in maniera veloce e quindi poter rispettare i ritmi della commedia. Da questo punto di vista per me è stato un salto di qualità: poi ho fatto una web serie tutta basata su sketch comici molto veloci, e quindi adesso mi piace un sacco anche la commedia. Per me non esiste passare da un registro all’altro, bensì incarnare il personaggio: se questo è di commedia e tu ci credi veramente, farai ridere senza bisogno di doverne trovare forzatamente la strada; lo stesso vale anche per gli altri registri da te menzionati>.

È da tempo per te fondamentale il sodalizio con Massimo: quali doti ne stimi maggiormente come uomo e come artista a tutto tondo, e quanto credi di essere maturata professionalmente – e di poterti ancora migliorare – grazie ai vostri lavori realizzati assieme?

MM: <Massimo è un bravissimo sceneggiatore: a me dispiace che non abbia mai lavorato stabilmente in tal veste, ma in realtà ha una grandissima penna. Basta porgli dei paletti anche minimi e lui riesce a trarre una storia che di solito è dotata di un suo svolgimento classico ma al contempo divertente: riesce a fare storie molto carine che mi fanno ridere molto. I nostri sono sempre stati lavori in cui abbiamo discusso proprio per poterli migliorare insieme: adesso ad esempio siamo finalisti al Pitch in the Day di quest’anno per la proposta di un nostro lungometraggio. Quindi di Massimo apprezzo il fatto che tutto ciò che scrive anche solo per hobby è qualcosa di rappresentabile in quanto originale e divertente: ad esempio lui è un fan accanito di Checco Zalone in quanto – anche se possono sembrare film stupidi – alla radice hanno tutto dentro. Il suo cinema ha molte letture: l’ignorante lo può leggere in un modo, mentre il colto in un altro. È chiaro che coglie varie sfumature e sfaccettature, come del resto è lui stesso che fa sempre la parte del coatto quando in realtà è laureato col massimo dei voti in Giurisprudenza. Tornando invece a Massimo, a livello umano è una persona molto schietta anche con me che sono la compagna, e non cerca mai di rabbonirmi: se c’è qualcosa che potrebbe non andare per la mia carriera o per un provino, io mi confronto con lui sapendo che mi dirà la verità. Questa cosa è molto bella perché non mi era mai capitata: un conto è far magari vedere il proprio videoprovino alla mamma o al papà che ti dicono quanto sei brava, un altro è avere un compagno che ti sa pure dire che fa schifo e dobbiamo rifarlo. Diciamo che ci guidiamo un po’ a vicenda su certe cose: io sono la mente ordinata e lui è quella un po’ più pazza, io sono quella più fattiva e lui è quello un po’ più astrattamente artistico. Però quando deve motivarmi sa come prendermi per farmi fare qualcosa: io spesso magari rinunciavo a dei provini perché mi dicevo che era inutile, mentre adesso ne faccio molti di più perché lui mi costringe a farli, e questo è molto bello>.

Eckhart riprende così a descrivere le caratteristiche distintive che ritrova nelle ragazze italiane: <Loro sono molto belle e intelligenti: ad esempio ieri ho discusso di filosofia con Dalila per tre ore, e lei è molto educata. Anche con Marilina parlo appunto spesso della cultura greca, in quanto lei la conosce alquanto approfonditamente. Per i miei lavori devo sempre trovare un attrice bella, talentuosa, intelligente ed educata: solo in Italia ci sono, non conosco altro Paese che ne possieda con queste qualità>.

Cosa rappresenta per Lei invece la bellezza femminile più in generale?

ES: <Non posso dirlo, perché c’è una bellezza di mio gusto puramente personale che posso scoprire in ogni volto: ad esempio Marilina è un tipo che mi piace molto come capelli, occhi e labbra; Dalila, Cecilia e Sara sono tra loro completamente diverse, ma anche loro mi piacciono molto>.

Quali sono i cineasti italiani che ama di più?

ES: <Il mio regista italiano preferito è Valerio Zurlini per film come Cronaca familiare, La ragazza con la valigia, Estate violenta e Il deserto dei tartari: non l’ho mai incontrato, ma ho parlato molto di lui con Giuseppe Rotunno e Luciano Tovoli. Lui era molto educato: ha anche scritto molti libri di arte, il suo problema è stato l’alcool alla fine della sua esistenza. Ho visto anche molti film di Fellini, cui più di dieci anni fa ho dedicato un documentario per il quale avevo intervistato tutti coloro ancora in vita che avevano lavorato con lui, compreso Tullio Pinelli>.

Mi rammarico che Eckhart non conosca sufficientemente Alberto Lattuada – come effettivamente egli ammette – in quanto l’approccio che ha all’universo muliebre giovanile filtrato attraverso svariate espressioni artistiche (lirica, scultura, fotografia, letteratura, architettura, oltre ovviamente al cinema stesso) me lo fa abbinare molto al grande regista milanese, pur seguendo quest’ultimo chiaramente un taglio classico rispetto a quello propriamente antinarrativo del collega tedesco: indicandogli la lettura del mio saggio Sull’eclettismo di Alberto Lattuada (2014) e la visione del servizio televisivo dello stesso Fanciulle in fiore (1977), gli ricordo che Fellini è stato un allievo di Lattuada; così come che Guendalina è su sceneggiatura di Zurlini, che poi avrebbe avuto per diversi anni la protagonista Jacqueline Sassard come compagna. Peraltro esiste anche un Alberto Lattuada nipote dell’omonimo cineasta che è musicista, avendo quindi ereditato i geni del bisnonno compositore Felice, che scrisse la colonna sonora anche di alcuni film del figlio: ma anche Marilina di questi casi ne sa qualcosa, dal momento che Ginevra Vancini – insieme a lei aiuto-regista per lo spettacolo Il Campione e il Professore, che l’ha vista anche attrice – ha poi diretto alcuni corti e videoclip peraltro davvero carini. Pertanto Marilina ricorda appunto il loro rapporto collaborativo in quella circostanza, esprimendo inoltre quello che prova nel sapere che Ginevra ha in qualche modo ripreso i geni del nonno Florestano (cui la natìa Ferrara negli ultimi anni giustamente ha dedicato un premio e una scuola di cinema, oltre ad intitolargli uno slargo), tra i nostri maggiori cineasti del dopoguerra: <Ginevra in realtà sta seguendo tutta un altra strada: è stata lei a rispondere ad un annuncio per assistenti aiuti regia, e devo dire che ha dimostrato molta attenzione. Si vede che ha una grande passione: noi abbiamo impostato lo spettacolo teatrale un po’ come se fosse un set, perché era comunque tratto originariamente da una sceneggiatura cinematografica: in più c’è il fatto che Massimo proviene dagli stessi set cinematografici. Non aveva mai fatto teatro prima d’allora: sono stata io a convincerlo perché secondo me era un opera che si prestava benissimo alla trasposizione teatrale, e inoltre avevamo l’opportunità di un finanziamento da parte del comune di Pomezia per un bando da noi vinto. Quindi ci servivano più figure possibili, anche perché c’era bisogno di un cast molto ampio: non è uno spettacolo di così facile trasposizione da poterlo allestire con uno piccolo. Ginevra s’è rivelata assolutamente all’altezza del suo ruolo: è stata molto precisa. Era dietro le quinte continuamente collegata con una radiolina a Massimo in regia e ai tecnici sia dell’audio che del video, perché c’erano anche videoproiezioni all’interno dello spettacolo (esperimento che tra l’altro abbiamo ripetuto quest’anno con Sirene, sempre insieme a Dalila): a me ha fatto proprio piacere lavorare con lei. Credo che possa sicuramente in futuro avere una buona carriera: l’importante è che scelga davvero questa strada. Secondo me poi i parenti d’arte possono dare tanto perché sono cresciuti con quel tipo di cultura: io ad esempio non sono assolutamente figlia d’arte, ma mi avrebbe fatto comodo avere un nonno o un cugino a cui potermi rivolgere. Un conto è scoprire tutto da solo e un altro è cullarti all’interno di un ambiente culturale: è molto bello quando questo succede>.

Eckhart torna invece a parlare della cultura italiana: <Lo stile nelle immagini che raccontano una storia, come nelle opere di Antonioni: tutto questo per me è il cinema italiano. Il mio scrittore italiano preferito è invece Cesare Pavese, pur amando molto anche Dante (anche se è quasi volgare dirlo, perché tutti lo amano): La bella estate è un romanzo bellissimo e molto realistico nel raccontare la gioventù. L’influenza dell’Italia è stata molto importante per me: io sono venuto per la prima volta negli anni Sessanta a Roma, dove mi è molto piaciuto vivere in quel periodo; anche se poi la mia esistenza è andata diversamente, essendo stato negli Stati Uniti per più di trent’anni. Per me la Germania per me è brutta, mentre l’Italia è bella: Dalila è bella, mia moglie è bella, anche Marilina è bella; tu ed io no [come dargli torto? – N.d.A.]>.

Lei ha appunto videointervistato tantissimi protagonisti del cinema tedesco, italiano e americano: cosa Le ha lasciato quest’esperienza, e quali sono tra questi i personaggi che serba più nel cuore?

ES: <La persona più importante che ho incontrato è forse Sydney Pollack, e subito dopo Jerry Lewis: un uomo molto intelligente e appassionato che non ha fatto un compromesso nella sua vita, facendo sempre quello che voleva – cosa per me molto importante. Ma penso anche a Werner Schroeter o ai miei amici Fassbinder e Douglas Sirk [il quale avrebbe diretto proprio l’ammiratore Fassbinder nel suo ultimo lavoro filmato: il cortometraggio Bourbon Street Blues, 1979 – N.d.A.], cui ero molto vicino. A dispetto di Truffaut, amo molto anche un regista francese come Jean-Pierre Melville e qualche film di Godard; nonché l’esordio registico di Marco Bellocchio I pugni in tasca: questo è il tipo di cinema che mi piace>.

Peraltro Marilina è fresca di partecipazione proprio al pluripremiato (nonché candidato all’Oscar) ultimo film di Bellocchio Il traditore, grazie al quale anche il cinema italiano pare cominciare ad accorgersi di lei: <Quando mi hanno chiamato per fare questo ruolo di prostituta per Bellocchio, l’hanno fatto senza che io mi sia proposta: mi sono infatti ritrovata con qualcuno che mi ha chiesto se lo volevo fare. Ero molto stupita e al contempo tentennante: temevo che la nudità potesse rappresentare un problema non tanto per il giudizio degli altri e tutto quel che ne consegue, ma perché non tutti la utilizzano in un modo funzionale alla storia. Ho voluto che mi mandassero la sceneggiatura per poterla prima leggere: così hanno fatto, e mi è sembrata molto interessante. Aveva un senso – e secondo me era importante – descrivere Buscetta non soltanto come un santo ma anche come una persona che aveva dei vizi, come poteva essere quello di andare a prostitute o essere comunque un donnaiolo: cosa che nel film si vede anche troppo poco rispetto a quelli che erano i programmi iniziali di Bellocchio e Favino. Quindi alla fine sono partita per il set ed è stata una delle esperienze più belle della mia vita: mi hanno trattata benissimo, non mi hanno assolutamente fatto sentire una semplice partecipante con un piccolo ruolo e Favino è un vero signore, nonché l’attore più umile che abbia mai conosciuto. Davvero la persona che più in assoluto mi ha sorpresa: ne ho riscoperto ne qualità umane e recitative proprio sul set. Non mi hanno fatto sentire il peso della nudità: a Colonia faceva freddissimo, c’era addirittura meno un grado. Stavamo girando in un enorme stanza congelata: Favino stava digrignando i denti per il freddo, ma – nonostante fossimo nudi – la prima cosa che faceva appena finiva ogni ciak era prendere una coperta e mettermela addosso. Per lui la prima cosa era pensare a me: è stato molto protettivo, veramente come un padre. Il giorno dopo me l’ha pure detto a colazione: “Tu mi ricordi un sacco mia figlia”>.

Quant’è importante per te battersi sempre contro ogni convenzione e stortura sociale, e quanto può essere determinante in tal senso a tuo avviso il ruolo dell’artista come soggetto critico all’interno della società cui appartiene?

MM: <Per me l’arte è critica: non si può fare veramente arte se non si ha una propria visione del mondo che in qualche modo contrasti contro qualcosa che non ci piace. Non è mera descrizione analitica: qualsiasi espressione artistica deve necessariamente essere un interpretazione. Quindi chiaramente per me il ruolo dell’artista è fondamentale: il problema principale è che – oggi come oggi – ci sono pochi artisti che fanno questo per battersi per un mondo migliore e molti che lo fanno perché vogliono incassare. Partendo dal fatto che io credo che ogni mestiere artistico dovrebbe essere retribuito a livello pubblico, la cosa migliore sarebbe che gli artisti avessero uno stipendio: l’altro giorno discutevo con Eckhart che sempre nell’antica Grecia si faceva un censimento in cui il più ricco della città doveva organizzare ogni anno le rappresentazioni teatrali tragiche. Attualmente questa cosa non c’è: le nostre tasse spesso e volentieri non vengono utilizzate veramente per l’arte, perché soltanto poche realtà teatrali ricevono dei sovvenzionamenti pubblici e non viene scelto dal popolo chi ce li avrà e chi no. Questa cosa per me è snervante perché io che faccio l’attrice – e lo vorrei fare come mestiere a tutto tondo – mi ritrovo nella situazione in cui devo accettare qualsiasi tipo di lavoro: viceversa io non posso pagare le bollette, non posso mangiare, non posso avere una vita normale. Ma l’arte non è quello: se io fossi libera di avere dei servizi che possono essere una casa popolare, un minimo per poter fare la spesa e nient’altro – però potessi dedicarmi con tutta me stessa alla mia professione – , sicuramente raggiungerei altri tipi di livelli. Anche se mi rendo conto che questa cosa è un po’ utopistica, in realtà io credo che senza arte saremmo tutti macchine senza umanità>.

Cosa significa per te essere un attrice oggi?

MM: <Cercare lavoro, perché purtroppo essere attrice oggi significa anche far fronte alla disoccupazione e sapere come arrabattarsi facendo mille lavori diversi: bisogna accettare tutto e cercare di essere più duttile possibile. Nel frattempo credo che la responsabilità di un attore oggi sia quella di lavorare anche con meno mezzi possibili: si può farlo – ed Eckhart lo dimostra – anche con una fotocamera, un regista e un attrice, riuscendo comunque a creare qualcosa che possa trasmettere messaggi. Questo per me è essere attrice oggi: trasmettere dei messaggi cercando di camparci sopra. Se capita, io non ho alcun problema a dire che accetto anche altri lavori che non siano prettamente recitativi: mi muovo molto bene anche dietro le quinte, avendo fatto da tecnico audio e luci, assistente alla regia per girare gli spot della TIM che sono stati trasmessi l’anno scorso al Festival di Sanremo e tante altre cose. Devi vivere del tuo lavoro, ma anche – quando capita – avere la possibilità di dire: “Io questo lavoro non lo voglio fare perché non mi appartiene”. Se è un lavoro che di cui a me non piace il messaggio, io devo essere libera di rifiutarlo: perché ciò possa avvenire, devo anche avere dei soldi messi da parte che mi possono salvare>.

Quali nuovi traguardi professionali conti di tagliare per affermarti sempre di più in maniera completa?

MM: <Io vorrei fare un film in cui credo molto: anche commerciale se capita, ma che in qualche modo mi renda orgogliosa per ciò che porta avanti a livello di messaggio. Per il resto non ho dei traguardi da raggiungere: in realtà il mio unico vero traguardo è fare lavori di cui sono fiera>.

 

Conclude Eckhart circa i suoi ultimi progetti: <Dopo aver realizzato a Los Angeles la pellicola Paradise Noir, noi abbiamo girato ieri e l’altroieri un film che si chiama La solitudine è donna. È stata Dalila a proporre il titolo, in quanto io avevo pensato di chiamarlo Donne sole: non ho dormito questa notte perché lei ha proposto vari titoli, finché siamo arrivati appunto a La solitudine è donna. Ho svegliato Goghi chiedendole cosa ne pensava e lei mi ha risposto di lasciarla dormire. Tuttavia La solitudine è donna appartiene a Dalila e non a me: per questo non mi piace, e allora io penso comunque d’intitolarlo Solitudine Donna. Forse questo che vedremo dopo [Noir After Noon – N.d.A.] sarà il mio ultimo film, come nel finale afferma anche la stessa Marilina>. Quest’ultima però in realtà sostiene che lui dice sempre così, aggiungendo alfine che mente spudoratamente: lo spettatore più attento che desidera continuare ad assistere ad opere così originali e innovative potrà pertanto tirare un sospiro di sollievo...

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