Titus: la poesia della vendetta a tinte pulp

Inviato da Sabrina Fasanella il Sab, 10/01/2015 - 14:32
Categoria recensione: 
Recensione Spettacolo Teatrale

Il miglior modo di rendere giustizia ad un classico? Decisamente tenerlo in vita. Per farlo ci sarebbero molti modi... E quello scelto da Cattive Compagnie (con il supporto e la collaborazione della compagnia Mauri-Sturno) è decisamente intrigante. Giovani, belli e audaci - e soprattutto bravi - questi attori diretti da Leonardo Buttaroni ridanno vita al verso shakespeariano spogliandolo delle pesanti maschere della sua stessa classicità. Liberato dell'etichetta del tragico, il Tito Andronico risuona della sua vera essenza di sangue, pulsioni, egoismi, umanità, tanto grottesca quanto reale, comica nella sua assurdità. Commedia pulp non tanto per una scelta registica volta a calcare sullo splatter, ma per la vera natura della trama originale, adattata con destrezza in modo da risultare agile e scorrevole. La piccola sala del teatro Trastevere dove lo spettacolo ha debuttato lo scorso 8 gennaio (e dove resterà in replica fino al 25) ben si presta allo scopo di catturare, provocare, stuzzicare lo spettatore, continuamente stimolato, chiamato in causa e privato del consueto, rassicurante buio della platea. La furia torrenziale del verso shakespeariano è arginata dalla bravura degli interpreti, abili a far danzare le parole, modellarle e contrarle, tingendole delle più svariate sfumature: così il classico prende vita, anzi, é più vivo che mai, sporco di reale. Saturnino (Marco Zordan) conquista per la sua melliflua voce e l'espressione un po' patetica un po' perversa; Marco (Yaser Mohamed) è il perno solenne e austero che tiene insieme i mille deliri di cui è circondato; Tito (Diego Migeni ) è l'eroe per antonomasia, presenza scenica potente e voce che rincorre le strambe contraddizioni dell'uomo, così ben colte dalla penna di Shakespeare. Bassiano (Matteo Fasanella) è l'ingenuo evocatore di una giustizia che non ha spazio laddove a regnare sono le pulsioni più inconfessabili dell'uomo. E la sua promessa sposa Lavinia (Virginia Arveda), pura, docile e virtuosa, oggetto di contesa e di vendetta, sembra pagare per entrambi quest'ingenuità, con il physique du rôle perfetto soprattutto perché abilmente contrapposto a quello dell'altra donna sul palcoscenico, la perfida Tamora (Daniela Kofler), look aggressivo, grinta e l'ambiguità che si addice al personaggio. Degna di nota poi la fusione dei due personaggi di Chirone e Demetrio nel(i) corpo(i) e la(e) voce(i) di un notevole Gioele Rotini, abilissimo a farsi abitare dai due personaggi con efficacia inquietante, in felice assonanza con le atmosfere della vicenda. Infine Aronne (Alessandro di Somma), personaggio tra i più intriganti, spietato e impunito, torbido e sfacciatamente perverso nelle sue stringhe di pelle, borchie e fibbie, un perfetto esempio di quanto l'odio possa essere affascinante. Gli ingranaggi spietati della vendetta - con sapienza evocati dalle bellissime scene di Paolo Carbone - si muovono grazie alla potenza delle pulsioni umane; lo spettro policromo dei sentimenti si vede rappresentato a 360 gradi in un classico che, vestendo con disinvoltura abiti tarantiniani, colpisce forse con ancora maggiore incisività emotiva e forza spettacolare. 

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