Bilal: viaggiare, lavorare, morire da clandestini

Inviato da Radiophonica il Lun, 17/05/2010 - 18:18
Categoria recensione: 
Recensione Spettacolo Teatrale

Sarebbe riduttivo limitarsi a definirlo “spettacolo teatrale”. “Bilal” è qualcosa di più. È la testimonianza di Fabrizio Gatti, forte e così singolare... per un uomo, da risultare prototipo di un'esperienza che sarà difficile che qualche altro possa fare i bagagli per ripeterla di nuovo. Sotto la regia di Gualtiero Bertelli, “Bilal” è il discorso di Fabrizio Gatti, fatto con brani scelti dal suo libro, intervallato dalle impennate musicali della compagnia al seguito di Bertelli. Così prende avvio lo spettacolo, in questo mosaico musicale di parti strumentali varie e di strumentisti ammassati a sinistra dello scenario come gruppo di clandestini trainati da un carro. A destra il clandestino, quello vero. Fabrizio Gatti. Il jambè scandisce il suo pensiero e così pure il tempo che lo riporta indietro ad affrontare un viaggio antico di speranza verso un “apparente paradiso”. È un pensiero che si vede nei suoi occhi, perché i suoi occhi sono testimoni oculari di paura. Gatti ci racconta che ha attraversato il Sahara sui camion e si è fatto arrestare come immigrato clandestino per sbarcare poi alla fine a Lampedusa, nella “gabbia di Lampedusa”. Per fare analisi sulla sua pelle della vita di quei camion. Si è finto spesso immigrato, a volte è bastato restare seduto ad ascoltare... a guardare. Ed ecco che accompagnano l'attenzione del pubblico il suono del flauto che segue fotografie di quei volti provati, fatte scorrere con velocità sullo schermo, ma non il necessario per non imbarazzarsi, per non fingere di non aver capito. “Non è viaggio dei disperati”, dice Gatti, “come spesso lo chiamano, un disperato là muore, non ce la fa... serve la Speranza per resistere e mantenersi vivi”. Eppure, ci dice, il suo non è stato un viaggio eroico. Comunque lui aveva il documento, quello giusto. Quello che non ti porta a morire. Inizia così questo viaggio fatto di tante storie e vite venutesi ad incrociare con la sua. La storia di Saphira, incontro di Niamey capitale del Niger, che lavorava nella moda racimolando pochi spiccioli, figlia di promesse al vento... poi da vecchia abbandonata. La storia delle cifre ufficiali che si susseguono... grandi, quelle del cammino nel Sahara... fino a Tripoli (primo sguardo sul Mediterraneo)... e grandi quelle dei clandestini uccisi nel cammino. La storia dei gomitoli, utilizzati per ammorbidire gli spigoli dei trasporti, e dell'ammasso di gambe, braccia, teste. Il silenzio: “ci si guarda negli occhi senza parlare e si prende coscienza del baratro loro: nessuno li aiuterà, qui nel deserto si è tutti figli di nessuno”. Arrivare in Europa ha un costo. Secondo i nostri calcoli non costa molto. Ma il costo che il suo amico Joseph non immagina è il costo fisico, quando i militari utilizzano tubi di gomma e cavi elettrici per colpire, senza lacerare la pelle. E Bertelli intona un canto alle navi “navi baciate nei giorni di partenza poi... maledette navi!”. Alla fine il clandestino arriva in Italia, un'Italia corrotta, in cui la corruzione si fa virtù. In cui, in un problema come quello di Rosarno, la presidenza del Consiglio e il ministro interno hanno dichiarato che il problema era l'immigrazione clandestina... Un'Italia dove un politico corrotto se la cava con sei mesi di reclusione, un immigrato in regola con un anno, un clandestino con quattro anni di prigione. Come si può pretendere allora un'Italia civile e moderna... Bilal, ecco il nome da clandestino curdo-iracheno di cui s'investe Fabrizio. Solo con un nome riesce ad entrare in una Lampedusa che come Circe fa ancora prigionieri. E così vede Pavel, trentanove anni, che raccoglieva pomodori... attaccato dal suo caporale. La rumena gravida che raccoglieva pomodori... vittima del caldo e della fatica. La cassetta del bracciante Michele si sfonda e uno dei caporali gli spacca una pietra in mezzo agli occhi. “Ha dovuto farlo!” e il padrone Nando ride! “Lavoro con le parole, e le parole dovrebbero bastare in un paese civile... ma vorrei vedere il padrone Nando e tutti i suoi caporali sputare sangue... ma questo sarebbe il vero fondo del baratro, scoprirsi uguale a loro! Ritrovarsi soltanto con l'idea di uccidere un uomo”. L'autista del camion prega Bilal:“L'unica salvezza per noi è che voi sappiate ciò che ci sta succedendo”.

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