Io accorsi, tu Accorsi, egli accorse

Inviato da Radiophonica il Ven, 27/03/2015 - 17:39
Io accorsi, tu Accorsi, egli accorse

 

di Carmine Gazzanni

 

 

Un leggio al centro della scena. Un furgoncino sullo sfondo a richiamare la natura da “guitti” del teatro del tempo. E l’utilizzo della lingua originale, trecentesca, perché, dopotutto, “fa parte del nostro dna, noi italiani la capiamo, soprattutto se recitata”. E poi la capacità degli attori, a cominciare dal “capocomico” Stefano Accorsi, in piena sintonia drammaturgica. Sono questi gli ingredienti che rendono “Decamerone. Vizi, virtù, passioni” – in scena fino a domenica 29 marzo al Teatro Morlacchi di Perugia – originale, pur mantenendo l’impianto e la forza che solo un classico può garantire.

Dopo “L’Orlando Furioso” portato in scena da Accorsi e dal regista Marco Baliani, quest’anno la coppia, ormai piacevolmente affiatata, regalano un’altra grande prova teatrale con l’adattamento dal testo di Giovanni Boccaccio. Sono sette le novelle scelte e sceneggiate da Baliani. E il fine è pienamente raggiunto. Se infatti al tempo di Boccaccio, le dieci novelle raccontate per ognuno dei dieci giorni servivano a fuggire mentalmente dal flagello della peste che si abbatteva su Firenze, oggi il discorso è molto simile: “abbiamo scelto di raccontare – si legge nelle note di regia - alcune novelle del Decamerone di Boccaccio perché oggi ad essere appestato è il nostro vivere civile. Percepiamo i miasmi mortiferi, le corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e l’impudenza dei potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare”. E il tutto accade con la spensieratezza e la maestria dei guitti, dei teatranti che, così come accadeva in epoca pre-umanista, si scambiano ruoli, parti, si trasformano, piangono e dopo un attimo ridono, entrano ed escono dalle storie, permettendo allo spettatore di viaggiare con loro, di essere presente e partecipe alle emozioni che si concretizzano sul palco.

E così appare quasi magico poter vivere, nel giro di un’ora e 45 minuti, le storie più variegate e distanti tra loro, pur essendo tutte squisitamente umane. Dal truffatore che si finge frate per estorcere denaro, al povero marito geloso e possessivo che si vede cornificato dalla moglie; dall’amor cortese al delitto d’onore, così diversi tra loro ma entrambi segnati dalla stessa chiusa sanguinosa; dalle vanificate promesse di fedeltà alle truffe atte ad allargar le borse dei furfanti.

 

Ecco allora che è quasi immediato poter vedere dietro ognuna delle storie raccontate dagli attori, tanti personaggi che popolano un altro palcoscenico, quello delle cronache, dei media e della politica dei nostri tempi. Ma forse basta guardarsi più semplicemente attorno o, meglio ancora, allo specchio e rendersi conto che quelle rappresentate sono le nostre debolezze, i nostri limiti, i nostri vizi. Ma anche le nostre virtù e capacità. Siamo noi stessi che ci muoviamo sul palcoscenico. Siamo noi stessi che amiamo, che piangiamo, che ridiamo. Basta un attimo, allora, per capire la grandezza di un testo come quello di Boccaccio e la bravura di chi, come Accorsi e compagni, riesce a dar concretezza a quanto scritto 700 anni fa, rendendolo per un attimo vivo dinanzi a noi.

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