Giorgio Meletti: “Leggere, valore aggiunto per essere veri giornalisti”

Inviato da Radiophonica il Gio, 04/04/2019 - 08:32

 

di Nicolas Maranca (Radio Frequenza Teramo)

 

 

RadUni intervista la firma de “Il Fatto Quotidiano” nella prima giornata del Festival Del Giornalismo 2019. Raccontare la classe dirigente non è qualcosa di semplice. Per farlo serve metodo, ma soprattutto servono le giuste fonti. Ne ha parlato, nella giornata introduttiva del Festival Internazionale del Giornalismo, Giorgio Meletti. L’ex docente de l’Università di Pisa, all'inizio degli anni ’80, è stato tra i fondatori della toscana Radio Ulisse ed è oggi una delle firme più note de “Il Fatto Quotidiano”. Inoltre, ha anche guidato la redazione economica del Tg La7. Il giornalista di origini sarde ha tenuto una conferenza dal titolo “Raccontare la classe dirigente: fonti e metodi”. Tanti i temi toccati, ripercorrendo le tappe segnate nel passato da storici di un certo rilievo, da Adam Smith a Marc Bloch, e non solo. In esclusiva, Meletti è intervenuto ai microfoni di RadUni. Tanti giovani si avvicinano al mondo del giornalismo nei vari ambiti.

 

Qual è l’elemento che i futuri comunicatori devono far loro?

Quello che ho cercato di raccontare è che, per divertirsi a fare il giornalista e per avere un futuro ed uno spazio di mercato, conviene leggere molto, scavando nel passato. Bisogna dotarsi degli strumenti culturali per capire la realtà, interpretarla e spiegarla ai lettori e agli ascoltatori delle radio. Considero questo l’unico modo per far bene questa professione.

Oltre a questo, perché riprendere la bibliografia del passato in ottica presente e futura?

Noi oggi viviamo in un sistema di informazione per cui non c’è memoria sociale e ci si trova di fronte a fenomeni che vengono rappresentati come nuovi da giornalisti che non hanno memoria. L’unico modo di averla è essere vecchi? No, bisogna studiare, molte cose che osserviamo come nuove sono già state analizzate in passato. Leggere tre libri buoni corrisponde al lavoro che un giornalista fa mediamente in tre anni.

Nel suo intervento ha parlato di famiglie importanti dell’economia globale, Agnelli, Jobs e Gates ne sono un esempio. Perché questo riferimento?

Abbiamo parlato dell’ossessione delle famiglie di grandi imprenditori italiani per la successione dinastica. Invece, nessuno conosce cosa ne è stato e ne sarà dei figli di grandi nomi internazionali quali, appunto, Bill Gates e Steve Jobs. Non lavorano nelle aziende paterne, questo è un tipo di analisi che, per essere fatta bene, deve provenire da un giornalista culturalmente formato in modo adeguato. Serve, cioè, una preparazione che non porti a complessi di inferiorità.

Da una nota firma nazionale ai giovani aspiranti giornalisti provenienti dalle radio universitarie e non solo: quale ulteriore consiglio per i futuri comunicatori?

Attenzione al tempo. Per far bene il giornalista, bisogna studiare molto. Si può cominciare anche tardi, dico a chi vuole entrare in questo mondo di prendersi tutto il tempo necessario. Servono basi culturali forti, oggi noto che ci si perde nell’illusione di poter fare il giornalista andando avanti con la sola esperienza diretta. Si rischia di rimanere per sempre quelli che si è a vent’anni, senza una vera possibilità di crescita. Dedizione e pazienza, servono anche queste due componenti.

 

 

 

photo by: Nicolas Maranca

 

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